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L'Io e le sue parti: chi sono davvero io?

Claudia Provenzano

Il "teatro interno" come metafora della vita psichica

La nostra personalità è costituita dall’insieme di caratteristiche psicologiche, comportamentali e relazionali che ci rendono riconoscibili e ci distinguono dagli altri. La parola “personalità” deriva dal termine latino “persona (m)” con cui si indicava la maschera che nel teatro classico dell’antichità greca e poi romana gli attori portavano sul volto. Le diverse maschere utilizzate erano tipiche di ciascun personaggio che, individuato in modo fisso e costante nelle sue caratteristiche, veniva così da esse reso riconoscibile. 

Ma la personalità non è una realtà unica e monolitica, bensì un insieme di parti, o sub-personalità, veri e propri personaggi che vestiti con gli abiti più diversi e calati nei loro diversi ruoli cercano espressione sotto i riflettori del palcoscenico della nostra vita interiore e di relazione. Come i personaggi di una rappresentazione teatrale si succedono sul palcoscenico nel prendere spazio e parola, così le subpersonalità nello spazio della nostra psiche tendono ad alternarsi a giocare la loro parte, facendoci sentire, pensare, credere, agire in base ai loro bisogni nella vita quotidiana. Ogni volta che la nostra vita evoca un particolare bisogno o desiderio tende a entrare in scena la subpersonalità corrispondente. Ogni volta che un bisogno preme da dentro di noi, tende a mettere in azione la subpersonalità corrispondente. Tanto più intenso è il bisogno o desiderio che ne costituisce il nucleo e tanto più la subpersonalità cercherà espressione nella nostra vita. Può accadere che più subpersonalità siano in scena contemporaneamente ovvero tendano ad esprimersi nello stesso tempo o circostanza; ci capita infatti non di rado di provare desideri contrastanti, sentimenti diversi per uno stesso oggetto o situazione, ambivalenze, e queste divergenze e conflitti possono essere spiegati riconducendoli alle nostre diverse sub- personalità che entrano in gioco contemporaneamente.

 Le subpersonalità sono le varie parti dell’Io, con cui spesso, senza neanche accorgersene, l’io si identifica totalmente, dimenticandosi delle altre parti di sé. Il verbo “identificare” deriva dal latino  idem fieri, che significa divenire il medesimo, uguale, identico. Nel processo di identificazione noi tendiamo ad identificarci con questa o quella subpersonalità, l'uno o l'altro personaggio del nostro teatro interno, arrivando a credere implicitamente di  essere  quel personaggio. 

L'identificazione può essere considerata come un'illusione. Ci si identifica con i propri sentimenti e desideri, con le proprie opinioni, con i propri ruoli, con il proprio corpo. Il problema è che se, per esempio, ci identifichiamo con un progetto e poi quel progetto si dimostra essere sbagliato, tendiamo a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in noi; se ci identifichiamo con il nostro corpo, quando il nostro corpo diventa debole, malato o vecchio, allora noi stessi ci sentiamo deboli, malati o vecchi; se la nostra identità equivale a un ruolo, quando dobbiamo abbandonare questo ruolo ci sentiamo di essere annullati o diminuiti; se ci identifichiamo con un desiderio e quel desiderio viene frustrato, allora noi stessi ci sentiamo completamente frustrati. L’Io passa di continuo e involontariamente da una identificazione all'altra: io sono un padre/madre inadeguato, io sono un marito/moglie fedele , io sono una donna /uomo indolente, io sono depresso, io sono ...tante sono le identificazioni nel flusso della vita che talvolta viene spontaneo porsi la domanda: 

Ma chi sono "Io"?

La disidentificazione consiste nel riuscire a liberarsi da questa illusione e a ritornare al nostro vero sé, all’Io come centro assoluto.  Finché ci identifichiamo con sensazioni, stati d'animo, desideri, pensieri, con una parte di noi, il nostro essere è imprigionato e quindi questi contenuti ci possono controllare o sopraffare, limitare la nostra percezione del mondo o bloccare la disponibilità a tutte le altre parti di noi stessi. Quando invece ci identifichiamo con l’Io, il regista esterno alla scena, è più facile osservare, regolare, coordinare, dirigere o trascendere ognuno delle nostre parti. È il regista che decide di far entrare in scena l'uno o l'altro personaggio a seconda del momento più opportuno. 

L'identificazione inconsapevole porta sempre a un ispessimento, a un irrigidimento. Diventa la maschera fissa e monoliticamente espressiva dell’attore. Ci sono segnali che ci indicano quando siamo identificati e questi sono gli automatismi nelle risposte a certi stimoli, la ripetitività dei comportamenti e le reazioni esagerate. L'identificazione persistente con una sensazione tende a diventare una tensione; l'identificazione con una emozione tende a diventare un complesso, e quella con un pensiero tende a farlo diventare un pregiudizio; l’identificazione con un ruolo si tramuta in maschera. Ma non appena torniamo nella posizione dell'Io, centro di consapevolezza, osservatore esterno e distaccato che guarda alle sue parti senza esserne posseduto, allora i complessi tendono a ridiventare semplicemente emozioni allo stato libero, i pregiudizi diventano idee, le maschere ruoli, le tensioni flusso di sensazioni.

Il tema del teatro interno, metafora affascinante della vita della nostra psiche può essere dunque inteso non solo come modello teorico della psiche, ma anche come oggetto di una pratica trasformativa:  scoprendo e analizzando le varie subpersonalità, gli attori del nostro teatro interno, sarà infatti possibile restituire all'Io la sua funzione di regista, facendoci sentire i padroni di quanto accade sulla scena della nostra vita,  anzichè schiavi di eventi che ci trascinano e ci travolgono.


  (liberamente tratto da "Il teatro interno, modelli psicologici e strumenti pratici per la conoscenza di sè", Claudia Provenzano, ed. Kimerik)

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